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J. LITTELL, P. MODIANO, B. SANSAL :

tre esempi di Letteratura della mediazione tra storia e finzione, alla ricerca dell’IO e del NOI

D 6 juin 2008     A par Raphaël FRANGIONE - C 0 messages Version imprimable de cet article Version imprimable    ................... PARTAGER . facebook


Nouvelles d’Italie

« la sola letteratura che mi è sempre interessata è quella dell’outsider che osservava dai margini della società senza mai riuscirvi ad entrare ».
Tama JANOWITZ, Corriere della Sera del 19.05.2008, p.33.
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« dans la littérature, la vérité n’est que la recherche de la vérité, et la connaissance n’est que celle que l’écrivain et le lecteur sont capables d’imaginer ».
Carlos FUENTES, La Règle du Jeu, N°10, 1993, p.216.
« 
« Le premier devoir de tout écrivain est, doit-être, !, de s’opposer à l’obscurantisme d’où qu’il vienne, quel qu’il soit ». »
Edouard MANET, La Règle du Jeu, N°10, 1993, p.227.

« L’homme est un mendiant quand il pense et un seigneur quand il rêve ».
HOLDERLIN.

J. LITTELL, P. MODIANO, B. SANSAL : tre esempi di Letteratura della mediazione tra storia e finzione, alla ricerca dell’ » IO » e del « NOI » .

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Da più mesi, e precisamente dalla pubblicazione dell’edizione europea del settimanale americano « TIME » del 3 dicembre 2007 con all’interno un lungo articolo di sette pagine del giornalista Donald MORRISON dal titolo catastrofico « The Death of French Culture » (La morte della cultura francese), è in atto in Francia un dibattito piuttosto aspro sul presunto declino della letteratura francese .
L’analisi di Morrison sull’Arte e la Cultura francesi ritenute « malades » , « atteintes de nombrilisme aigu,(..) sans grande ambition, quasiment provinciale(s) et souvent très bavarde(s) » , è severa e impietosa.

Non apparteniamo al folto gruppo di « déclinologues » di cui lo scrittore J-M. ROBERT è « chef de file » , quando scrive che « notre époque est antilittéraire » [1], né condividiamo quanti sostengono che la televisione, Internet e soprattutto i blogs spingono i giovani a non leggere più. Né, però, siamo tra quelli (pochi !) che interpretano la ricca produzione letteraria di questi due ultimi anni come il segno di una svolta in ambito letterario.
Ma non riconoscere il talento e il successo di scrittori giovani e affermati, tra i quali Jonathan Littell, Christine Angot, Michel Houellebecq, Patrik Modiano , Annie Ernaux, Françoise Bourdin, Daniel Pennac, B.Sansal e altri ancora, ci sembra miopia grave, non fosse altro che per i numerosi riconoscimenti che questi autori hanno ricevuto in tutto il mondo. Certamente non siamo in presenza di una Letteratura innovativa ed eccelsa ma non possiamo non vedere in questa generazione di scrittori nuova vitalità orientata più a ricercare una sintesi tra realismo e fiction, tra storia e immaginazione, che a rinchiudersi nell’autofiction.

Il fenomeno LITTELL ?

È da più di un mese in libreria il nuovo testo [2]. di Jonathan Littell « Le sec et l’Humide » (Gallimard, 2008) che già viene segnalato alla settima posizione tra i saggi più venduti (L’express del 07.05.2008). Dopo « Les Bienveillantes » (2006), opera prima, Jonathan Littell ritorna a privilegiare « les années sombres » del primo novecento (1930-1945), anni convulsi quanto drammatici che hanno segnato le coscienze di tanti giovani e meno giovani, protagonisti loro malgrado, in silenzio e a volte con rassegnazione di esperienze di vita talmente atroci da indurre alcuni al suicidio (Primo Levi).

D’altronde non c’è da stupirsi quando la fiction prende in esame il 3o Reich o quando racconta l’ascesa di Léon Degrelle, fondatore del movimento fascista Rex di origine belga da « simple mitrailleur » a comandante della « Légion Wallonie » , organizzazione antibolscevica in seno alla Wehrmacht, o quando ci mette di fronte a quel « processus d’abrutissement » morale, intellettuale e umano che l’ideologia nazista ha prodotto. Essa lo fa ben consapevole di trasmettere sensazioni, esperienze e conoscenze di grande interesse sociale e storico.
Noi crediamo che la Letteratura possa aiutare a comprendere il reale rapporto degli individui con la loro epoca, proprio perché è in grado di attivare quei meccanismi interpretativi, descrittivi e di analisi che le sono propri restituendo fascino ed interesse anche al più piccolo dettaglio o « shifters » , come li chiama Roland Barthes [3].
Jonathan LITTELL, premio Goncourt 2006, merita di diritto di far parte di quel nutrito gruppo di « Littérateurs » che conta non solo perché ci permette di rileggere la Storia ma anche perché ci dà l’esatta dimensione del fenomeno dell’Olocausto trasmettendoci le emozioni di tanti giovani tedeschi che hanno creduto ciecamente all’Utopia della « grande soluzione » , condizione irrinunciabile per la germanizzazione di tutti i territori.

Angoscia e odio ma anche fervore ed entusiasmo sono i sentimenti chiave del grande successo dei romanzi di LITTELL. Affascinano il suo seguire la logica del romanzesco nell’affrontare questioni storiche rilevanti dal punto di vista etico, il suo bisogno di studiare accuratamente le fonti (è a tutti noto il grande e attento lavoro preparatorio dell’autore di lingua francese nell’analisi delle fonti [4]), i luoghi, i nomi e i fatti di un passato recente che non ha vissuto ma che lo attira e lo seduce, il suo modo diretto di dialogare con il lettore offrendogli utili spunti di approfondimento e di riflessione.

E personaggi quali Léon, Max Aue, Thomas, Una, Hélène che non sono certamente modelli positivi di comportamento e di coerenza incarnano tipi della società del tempo, perfettamente riconoscibili e in parte visti come vittime di una cultura propagandistica acritica.

Ciò che la Letteratura deve temere è il forte potere di seduzione e di coinvolgimento che possono esercitare i grandi avvenimenti storici sul modo di rappresentare la realtà. Non dobbiamo dimenticare che la conquista del potere da parte di Hitler fu preparata e supportata anche da quella letteratura detta della « collaborazione » che ha fatto del valore della grandezza e della superiorità nazionali i punti cardini della propaganda nazista.

Non è un caso se il nuovo testo di Jonathan Littell « Le sec et l’Humide » è centrato sul linguaggio del suo protagonista, Léon DEGRELLE, prototipo del giovane fascista ossessionato dall’apparire e leader della collaborazione belga francofona. Una sorta di « aventure sémantique » per Claire Devarrieux (Libération del 10 aprile 2008) che Littell affronta in termini chiari e documentati.
Anche questo tipo di letteratura costruita sul linguaggio serve alla rappresentazione della realtà e ci racconta, con la sola forza evocativa della narrazione, le miserie umane, i destini della gente comune, sulla quale spesso si abbatte una violenza folle e insensata.
Littell non giudica, si limita a constatare che di fronte alla barbarie la scrittura non può e non deve restare muta, non può dirsi « innocente » . Essa ha il dovere e il coraggio della denuncia, anche se ciò può comportare allo scrittore rinunce, paure o peggio accuse infamanti.
Basti ricordare « l’affaire Rushdie » di alcuni anni fa. Salman Rushdie fu minacciato di morte dal potere iraniano con la sinistra « fatwa » del 1989 per aver scritto « Les versets sataniques » , uno dei romanzi più celebri della letteratura contemporanea in cui la verità unica è contraddetta, relativizzata e sottoposta a un principio d’incertezza. E recentemente il » caso Sansal » . Lo scrittore di origine algerina, autore di un libro/provocazione « Le village de l’Allemand ou le journal des frères Schiller » , traccia una sorta di parallelismo tra il nazismo e il mondo mussulmano, suscitando una violenta protesta da parte degli algerini fondamentalisti convinti che questa tesi possa nuocere all’immagine del FLN (Front de Libération National) in Francia e all’estero.
Oggi la vita di Boualem SANSAL è seriamente minacciata, il suo blog è colmo di minacce e di insulti, i suoi libri censurati, proibiti in patria.

Questi ed altri fatti tendenti a condizionare, a limitare spazi di libertà rafforzano l’idea della necessità di una Letteratura che abbia la possibilità di rappresentare tutti gli aspetti dell’umanità.

Coi romanzi di Sansal e di Littell, la Letteratura ritorna ad essere discorsiva, informativa e attenta ai malesseri della gente comune. La questione centrale è come trasmettere ciò di cui si è appreso o ascoltato, come uscire dalla dimensione simbolica per essere più concreti.

Patrick MODIANO e la memoria di sè

È in questa ottica di ricerca della propria identità nell’identità degli altri, della memoria di sé nella memoria degli altri, che va letto l’ultimo romanzo di Patrick MODIANO, autore, sceneggiatore e convinto sostenitore dell’autofiction, nuovo genere narrativo in sostituzione del tradizionale romanzo autobiografico.
In Dans le café de la jeunesse perdue (2007), un fatto assolutamente banale (la scomparsa di Louki, giovanissima ragazza con alle spalle una situazione familiare precaria, quasi nulla) è il punto di partenza di una ricerca affannosa e inquieta da parte di tre uomini lungo luoghi a lei familiari che Modiano stesso dimostra di conoscere come le sue tasche. Una lista interminabile di nomi di strade, di quartieri, di caffè, di stazioni di metropolitana, accompagna i continui spostamenti dei personaggi in una Parigi che per il lettore appare distante se non è in possesso di una piantina della città.
È noto che i Caffè francesi hanno sempre avuto una funzione culturale e anche sociale. Lì si riunivano i maggiori artisti e lì nascevano i movimenti dell’avanguardia letteraria e pittorica del periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Modiano adolescente si ricorda del clima letterario di quegli anni e del « Prince de Condé » fa il motore del suo romanzo. Un dettaglio di vita reale ancorato ad un’epoca precisa che permette all’autore di dare libero sfogo alla sua immaginazione.
Per Modiano questo tuffo nei ricordi significa avere la possibilità di cancellare quello che della sua vita non gli si confà. Per lui scrivere è una sorta di « nettoyage » , è sbarazzarsi per sempre di un qualcosa che forse non era o non è mai stato importante, essenziale. Per raggiungere questo obiettivo Modiano si serve di una tecnica narrativa molto usata nelle rappresentazioni filmiche, quella detta di « juxtaposition » . Il racconto infatti progredisce grazie all’intreccio di tre distinte memorie, creando degli effetti di prospettive assai seducenti. Tutti i personaggi si esprimono alla prima persona e confluiscono in un « je » unico, quello dell’autore, efficace e responsabile dove tutto si annulla per rinascere con la nuova « scrittura » .

La Letteratura e le « zones neutres « della realtà

Ha ragione quindi S.Rushdie quando scrive che la letteratura è « la meilleure façon de comprendre le monde.. » e la scrittura « un acte de compréhension » [5]
di quelle « zones neutres » della realtà che probabilmente sarebbero inesplorate se l’arte del racconto non penetrasse le ambiguità del mondo. « Mon roman trouve son plaisir dans la bâtardisation et les peurs de l’absolutisme de la pureté » insiste S.Rushdie nel suo testo « De bonne foi », convinto come egli è che sarebbe un grande malinteso del nostro tempo il voler rinchiudere la Letteratura entro steccati culturali e espressivi esclusivi. Anche perché, continua l’autore iraniano, stiamo vivendo un regime di policultura dovuto al fenomeno di migrazione di massa che ci impone « non pas le ressort d’un malaise ou d’un déchirement, mais celui d’une euphorie créatrice, d’un élargissement de l’immaginaire » .

Difendere quindi il principio del libero confronto delle idee in regime di democrazia compiuta, significa per la Letteratura affermare i suoi stessi valori, quelli nati e diffusi dal secolo dei lumi e cioè continuare a scrivere, a pubblicare, a pensare e a parlare. Il sapere stesso è luogo di operazioni interpretative che rendono il gioco dei sensi più attraente. La Letteratura può guidare l’individuo nella ricerca di senso, nella ricerca della sua soggettività. In una società regolata dalla tecnica e dal concetto di efficienza la Letteratura aspira a riprendersi il suo ruolo di mediazione tra le esigenze di razionalità e il bisogno di immaginazione. La Scienza ci ha insegnato ad osservare secondo l’idea dell’oggettività assoluta. Ora dobbiamo riapprendere ad immaginare se non vogliamo che il mondo ci diventi estraneo, ripensare per immagini pur rimanendo legati alla realtà delle cose, ascoltare la propria voce e la voce degli altri, il silenzio della propria intimità e il rumoroso vociare di chi affida alle parole, al linguaggio il compito di farsi sentire, di attrarre su di sé tutta l’attenzione possibile. È così che nasce il romanzo, la narrazione delle cose mai viste, luogo in cui l’immaginario dimostra di essere legato alle cose reali.

La Letteratura è gioco, finzione ?

La Letteratura non ci dà risposte definitive. A volte si nasconde dietro un meraviglioso gioco di specchi che rimandano in continuazione immagini e illusioni. Ma, non è forse nella consapevolezza della capacità di illusione che essa ci rende totalmente affrancati da ogni potere razionale ? Che ci rende liberi di attuare i nostri progetti ? Che ci permette di dare sfogo alle nostre illusioni ?
HUSSERL definisce la finzione « la sorgente da cui la conoscenza delle verità eterne trova il suo nutrimento » , riscattando la capacità dell’immaginazione di oltrepassare la realtà sensibile (il riferimento a Platone e al « mito della caverna » è del tutto scontato). L’immaginazione è per definizione disordinata, anarchica. Ben l’ha capito la Letteratura che non ha mai pensato di applicarvi schemi espressivi volti a contenere la sua estrema follia né tampoco a descriverla come solitamente si fa nel riportare fatti e avvenimenti realmente accaduti.

Essa porta dentro di sé una marea di esperienze che viene proiettata fuori e offerta alla libera interpretazione del lettore. Con ciò la sua funzione non è « significante » , nel senso che il suo obiettivo non è di dire o di significare, ma di far apparire ciò che le è tenuto nascosto, di oltrepassare il dato sensibile per inoltrarsi nell’inesplorabile, nel regno delle possibilità.

In questa ottica la Letteratura si configura come un immenso spazio immaginario. Spetta allo scrittore di condurre il lettore nel vasto mondo delle apparenze, delle ombre e delle ambiguità infinite. E in questo attraversamento del dicibile e dell’indicibile l’autore acquisisce il ruolo di mediatore abile ed attento tra sé e l’Altro.

Prof. Raffaele FRANGIONE



[1Le Figaro du 15.10.2007, Les vrais écrivains d’aujourd’hui se comptent sur les doigts d’une main.

[2A dir la verità il testo, ce lo dice lo stesso Littell, era stato scritto nel 2002 in preparazione del suo romanzo « Les Bienveillantes » (2006) opera prima che gli varrà il prestigioso premio Goncourt

[3A differenza del discorso storico che si incentra in prevalenza sui grandi avvenimenti, quello letterario considera tutti i dettagli anche quelli apparentemente superflui o fragili in conformità ad un modo di procedere che renda conto dell’integralità del racconto. In altre parole ogni elemento viene recuperato perché parte integrante del tessuto narrativo e perché, se assommato ad altri aspetti, può essere fondamentale per una chiara significanza del testo/prodotto.

[4Su questa attenzione per le fonti Littell è in buona compagnia. Si pensi a Balzac, a Stendhal, al Céline de « Voyage au bout de la nuit » , a Claude Simon, alla Marguerite Yourcenar de « Mémoires d’Hadrien ».

[5Entretien avec Gilles Hertzog, La Règle du Jeu, N° 9, 1993.

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